LIBRO DI VETTA
Racconti di emozioni verticali
Taglio e cucito
( di Stefano Nesti )
- Circa un anno fa un mio caro amico, mi mandò la
relazione di una nuova via che aveva aperto. Avevo le più buone
intenzioni di ripeterla quanto prima, poi tra un'impegno e l'altro
quella mail contenente indicazioni molto vaghe sulla linea era sempre
rimasta li, in attesa del momento propizio.
- Per tutt'altri motivi, dopo un anno, appunto
dall'invio della mail, ho sentito per telefono l'amico apritore, e gli
dico che il giorno seguente sarei andato con la mia compagna a ripetere
una storica via che aveva aperto molti anni fa, e sulla quale io avevo
ottimi ricordi. Lui allora mi rammenta di quella nuova nata, e mi invita
ad andare li.
- All'alba del giorno dopo siamo partiti alla volta di
questa novità, sempre con la voglia di scoprire nuovi orizzonti apuani.
Già l'avvicinamento è stato un disastro tra piante cadute, tagliate, e
fango sul sentiero, ha richiesto di buona mattina ancora con il freddo e
l'umido della notte un'ora di lavoro da cinghiali, piuttosto che da
alpinisti. Reperito l'attacco si sale per rampe interrotte dal
bosco alcune lunghezze, poi la via trova la sua continuità ed inizia la
parete vera e propria.
- Gli apritori dicono di aver scalato dal basso
proteggendosi con dadi, friend, chiodi, fix e clif, per poi ripulire
tutto e mettere ottimi fix da 10. Quindi come spesso
capita su questi itinerari la via segue una logica della roccia, ma a
volte questa viene abbandonata forzando dei muri compatti e fa si che io
non entri bene nell'ottica della salita. Fin da subito è chiaro
che la presenza dei fix non esula da rischi, infatti la chiodatura, a
tratti allunga pericolosamente e vale la pena valutare bene se sia il
caso di integrare, oppure farsi bastare gli ancoraggi presenti. A mio
avviso queste vie sono spesso fuorvianti, infatti solo per la presenza
dei fix vengono reclamizzate come sportive, quando invece sono itinerari
alpinistici a tutti gli effetti.
- La mattina pur essendo a metà ottobre è molto fredda,
e la roccia non è piacevole da scalare ancora con l'umido della notte
presente nell'aria.
- L'itinerario non è molto lungo, e si articola su 6
lunghezze. Le difficoltà non sono mai estreme ma neanche banali, e
richiedono attenzione nell'impostazione dei passaggi e delle posizioni
da assumere per rinviare. Una dopo l'altra le lunghezze di corda passano
più o meno lisce. Siamo all'ultimo tiro, si presenta sostenuto, ma
gradevole, su roccia bella e pulita. Finalmente penso tra me, perché
sotto non mi aveva per niente entusiasmato.
- Dopo 5 rinvii arrivo ad una cengia un po' sporca e
dopo averla guadagnata cerco il prossimo fix. Non trovo niente, quindi
mi sposto a sinistra e vedo un diedro che porta diritto al prossimo
ancoraggio. Capisco che le corde avrebbero tirato troppo, quindi torno
indietro all'ultimo rinvio e passo una sola corda per diminuire gli attriti.
Imbocco il
diedro, non difficile, ma capisco che le cose non tornano. é ovvio che
la parete si vince di li, ma il chiodo è messo fuori a destra come se
dal precedente si fosse voluto arrivare li in piena parete. Troppo
strano, penso, sarebbe un boulder su tacche troppo duro e poi con la
cengia sotto.... ma! vedo che il diedro presenta una bella fessura da
friend, e immagino che in apertura si siano ancorati li per
spostarsi a mettere il fix. Valuto se sia il caso prima di entrare in
parete di mettere un friend ma sembra facile, e decido di portarmi
sul bordo superiore del diedro e poi valutare li prima di entrare sulle
tacche. Non faccio a tempo a pensarlo che mi sento partire. Si è
staccato un grosso blocco sotto i miei piedi. Vengo risucchiato nel
vuoto alla velocità della luce. Mi rendo conto quanto fosse
lontano l'ultimo rinvio solo quando lo vedo passare alla mia destra ben
lontano da me. Grido di bloccare, ma la corda prima che vada in tensione
mi fa scendere almeno 12 / 15 metri, nei quali ho attraversato e
sradicato un cespuglio, e sicuramente sbattuto con le braccia sulla
cengia.
-
- Mi fermo completamente penzoloni nel vuoto. Come nei
cartoni animati vedo tutte le stelline, non capisco bene come sono
posizionato e sopratutto ho un fiatone incredibile. Sento le braccia
bruciare, la destra sulle dita, le quali probabilmente hanno cercato invano un
appiglio in caduta, e la sx è tutta intorpidita. Guardo la manica bianca
della camicia, e una macchia di sangue si sta diffondendo come la china
in un bicchiere di acqua limpido. mi tocco con la dx il braccio sinistro e mi insanguino
tutte le dita. allora prima di visionare l'accaduto faccio un rapido ceck-up.
Mano si muove, ok, bracio si flette, ok si allunga ok, si alza,
ok. Niente ossa rotte ne tendini. sarà solo ciccia mi dico. Faccio cenno
alla mia compagna che è tutto ok. Lei non osava
parlare ne fare niente in attesa di un mio comando, si era vista passare
il blocco a poca distanza e mi aveva visto arrivarle incontro
velocemente, ma aveva arrestato ottimamente la mia caduta. Alzo lentamente la manica della camicia e vedo graffi ovunque, ma niente
di grave. Faccio per tirarmi alla corda, e sento uno strano fiotto di
sangue tipo pompa spruzzato dal muscolo. Humm.... mi dico, vuoi vedere
che c'è altro. Alzo ancora la manica e vedo sotto il gomito
all'attaccatura del tricipite, un bel forellino pulito e profondo, un po' slabbrato e roseo.
Inizio a risalire la corda per finire quei pochi metri di via, poi
mentre risalivo il fastidio del sangue che si appiccicava e
colava sul braccio era un evidente segnale di fare festa. Guadagno l'ultimo rinvio a bracciate
sulla corda, sentendo il sangue che pompettava dal
forellino ad ogni chiusura di braccio. Non faceva male, quindi era interessante
notare il fenomeno. Sostituisco il rinvio con moschettone e via
mi faccio calare. Tre doppie e siamo agli zaini. Durante la discesa, mi
impongo di riguardare doppiamente le manovre, perchè a volte momenti di
paura possono far calare la concentrazione necessaria e sbagliare le
manovre. Arrivati in terra, un doveroso panino,
e poi giù una bella lavata di braccio con la borraccia. Il forellino e tutti gli
altri graffi hanno smesso di buttare, le mie piastrine ancora una volta
hanno lavorato egregiamente. Si scende nuovamente il sentiero fangoso, e
poi via a cercare un sarto che mi faccia un bel rammendo.
- Arriviamo alla prima cittadina, e qui trovo subito il centro di
pronto intervento, Un'ambulatorio del 118 dove oltre a stazionare i
mezzi', c'è una sala di pronto soccorso. 4 scoglionati mi indicano la
sala del medico di guardia. Entro ed un agioletto biondo, dai lineamenti
sottili e un bel sorriso mi chiede che cosa avessi fatto. Mi serve una rammendatina le dico.
Mi tolgo la maglia e mostro le ferite di guerra.
-
- L'alpinismo è sofferenza mi ricordo, ma se questa poi viene alleviata
da così graziose manine si soffre anche volentieri.